Cosa si intende con “iconico”? Certamente la sua accezione oggi più popolare ha poco a che fare con quella usata in un sito che si occupa di semiotica, legata quest’ultima alla ormai classica tripartizione del segno definita da Charles Sanders Peirce nella seconda metà del XIX secolo. Niente di tutto questo: iconico, nel suo significato corrente, è un aggettivo che denota qualcosa di esemplare, in grado di esprimere al massimo grado la categoria di cui fa parte. Nel caso della fotografia si parla della capacità di un’immagine di rappresentare al meglio il soggetto catturato dal fotogramma.

Ecco, a poche ore dal mediaticamente copertissimo attentato a Donald Trump, questa foto di Evan Vucci si è già conquistata tra innumerevoli concorrenti il titolo di “scatto iconico” dell’evento. Ed è la rapidità dell’attribuzione ad essere interessante, perché fa capire che l’iconico è qualcosa che ha più a che fare con il passato che con il presente o il futuro, ammesso che quest’ultimo sia un concetto ancora frequentabile. Siamo portati a definire “iconico” una rappresentazione del soggetto che lo riporta a un immaginario (inteso come “enciclopedia visuale” condivisa) in un modo che lo incasella senza scosse nella struttura che a tale patrimonio visivo abbiamo attribuito.

E qui ci sta effettivamente tutto per leggere il fatto nel modo in cui ce lo aspettiamo: l’attaccamento statunitense alla bandiera, l’ostinazione e la fiducia nei propri valori dell’ultra liberal americano, il vortice di men in black che circonda il candidato. Peccato per lo sguardo in camera del bodyguard sulla destra, che sottrae pathos e immediatezza alla scena.

Il tutto in uno scatto che blocca il movimento organizzando la scena in una perfetta struttura triangolare, che riporta alla mente immagini simili ed altrettanto “iconiche”, come la celebre fotografia di Rosenthal dei soldati che issano la bandiera americana ad Iwo Jima. Ma in quel caso si trattava di un “secondo tentativo” con i soldati che sollevavano a favore di fotocamera una nuova bandiera alla fine dello scontro.

Non che si voglia portare troppo in là il paragone, dando spazio a dietrologie che già si sono fatte strada a proposito dell’attentato al Tycoon. Quello che qui si vuol sottolineare è che lo “scatto iconico” rischia di avere una funzione normalizzatrice e per questo “anestetica”, impedendo di fatto di intercettare quanto di nuovo ed irripetibile ci sia in un fatto che viene invece ente accostato ad altro di cui condivide la stessa “icona”. In quest’epoca di bulimia fotografica, viene da chiedersi se il compito di una nuova fotografia sia proprio questo qua.

O se forse non è più salutare riconoscere che l’“iconicità” sottrae alla fotografia non tanto la sua quota di realismo, quanto di verosimiglianza. Avvicinare un fatto all’immagine che già ne abbiamo, insomma, ha il suo scopo nella propria funzione tranquillizzante, non nella sua capacità di farci leggere il presente. Anche a costo di destabilizzarci.

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