C’è la fotografia e c’è l’immagine. Nel caso di questo ritratto della sciatrice Sofia Goggia, la prima è un pasticcio di cui si sono occupati in tanti e di cui qui si dirà poco. L’immagine invece è, forse involontariamente, più interessante. In una frase si potrebbe dire che ricorda il passato e nello stesso tempo marca un possibile anticipo nei confronti del presente .
Nella sua Annunciazione del 1472 (ora agli Uffizi) un ventenne Leonardo da Vinci allunga e disarticola il braccio destro della vergine, commettendo secondo alcuni un errore di inesperienza o, secondo altri, realizzando tramite un accorto espediente una sorta di rotazione prospettica, con il punto di vista che scivola dalla posizione centrale richiesta dalla scena ad uno ribassato e spostato sulla destra della tela per le figure, tenendo conto della (probabile) collocazione dell’opera al di sopra di un altare laterale di una cappella.
Da quelle pennellate sono passati circa 550 anni. Quando ne saranno passati altrettanti dai click che hanno dato vita alla fotografia e realizzato la sua maldestra postproduzione, se l’immagine sarà sopravvissuta ai commenti che l’hanno accompagnata, qualche semiologo magari interpreterà la resa del braccio della Goggia – anche qui il destro – che spunta da sotto al cane secondo un angolo innaturale e lascia immaginare un arto più lungo del suo gemello speculare, come un artificio per indicare la capacità di controllo della donna sulla natura (rappresentata dall’animale), che lei dominava una volta inforcati gli sci.
E se allo stesso ricercatore resterà sconosciuta la goffa spiegazione dell’autore, è probabile che egli interpreti la sventata sostituzione del piede destro con una riproduzione del sinistro come un consapevole, polemico, geniale riferimento alle immagini prodotte dalla Intelligenza Artificiale, che nella fase aurorale della sua parabola – quella in cui Sestini operava – spesso produceva corpi con mani e piedi ruotati e scambiati.
Un gesto a metà tra pop e dadaismo che metterebbe in questione la relazione tra fotografia e sintografia e proietterebbe questa immagine nella galleria delle trovate geniali insieme ai ready-made di Duchamp, alle Brillo Box di Warhol, alle installazioni di Kosuth e ai Brush Strokes di Lichtenstein,
E noi, prigionieri del passato senza speranza di evadere, non potremo correggere l’errore; non potremo rivelare che la consapevolezza che trasfigura il banale in questo caso non c’era. E che questa immagine non è una meditazione sul pop compiuta con il linguaggio stesso del pop (quella che è appunto la Pop Art) ma ne è il prodotto irriflesso, che non ha la forza per parlare dei mainstream ma ne è semplicemente il portato piatto e malinconicamente omologato.
Poi, chissà, magari anche Leonardo si è semplicemente sbagliato a disegnare.
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