Fornire degli esempi di punctum,
significa perciò, in un certo qual modo concedermi.
R. Barthes
Per dirla con le parole di Roland Barthes, l’analisi fotografica dovrebbe essere il luogo dello studium. Nella ricerca di elementi semiotizzati, culturalmente stabili, si costruisce un possibile cammino di letture capaci di essere comunicate e, in qualche misura, condivise. Di tanto in tanto capita però che il punctum, l’elemento “che, partendo dalla scena, trafigge” , colga di sorpresa lo sguardo, lo catturi con la sua forza magnetica e metta in vibrazione corde più intime e personali dello spectator. Difficile allora resistere alla tentazione di raccontare la sensazione di stupore che l’immagine suscita, sfidando le irriducibili distanze che ci separano dalle zone più inaccessibili dei nostri simili.
In questa immagine di Oreste Pipolo quello che mi – e del pronome personale non è possibile qui fare a meno – colpisce è il panneggio morbido, plastico, finemente inciso del vestito della bambina sulla destra. Un drappeggio che ha la stessa leggerezza del passo sospeso che lo mette in moto e che sembra appena uscito dal pennello di un Lorenzo Lotto, alla cui vena metafisica si può a ben vedere riportare tutto il gruppo a destra, in cui le due bambine sembrano essere quasi una la copia riproiettata dell’altra come in una replica con soggetto infantile del Ritratto di Orefice del pittore veneziano.
Da qui, da questa levità quasi soprasensibile che resta per me il centro gravitazionale del fotogramma lo sguardo si sposta verso sinistra: una campitura in ombra, in cui si intravede un pesante portone chiuso, separa la leggerezza della primavera della vita dalla matronale, seriosa, incandescente figura della sposa, appoggiata alla coda di una statua di pavone che sostituisce il marito con la simbolica metonimia dell’orgoglio che, a giudicare dalla sua espressione, la donna pare essere sicura di suscitare nel consorte. Un pavone distratto e inanimato potrebbe per più ragioni essere l’allegoria dello sposo nel giorno del matrimonio; nulla di più probabile che la sua presenza sia una trovata della inesauribile ironia di Pipolo. E chissà se è un caso che a far da fondale alla sposa ci sia una fila verticale di mattoni, che parrebbe evocare il ruolo che alla donna spetta nella ventura quotidianità della vita di coppia.
Da qui, da questa tessitura di mattoni e tufo, il crinale abbagliante del vestito ci porta verso le due ombre, due macchie sul basolato splendente che, come un sentiero per più ragioni oscuro e quindi misterioso, mi riportano alla straordinaria coppia che di nuovo, puntualmente, mi affascina.
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