Elogio dell’instabilità. Le immagini di Garry Winogrand sembrano sul punto di scivolare via dal fotogramma, spinte dall’inclinazione della ripresa o portate via da un’occhiata o dalla corsa di un personaggio. O magari, come in questo caso, da un’automobile in moto che punta contro il bordo, trascina con sé lo sguardo della protagonista e ci spinge a contraddire il divieto di “svoltare a sinistra” impartito dal cartello in primo piano e rafforzato dalla freccia diretta proprio verso la scritta.
Ma anche qui, come sempre negli scatti di Winogrand, a mantenere tutta la scena al suo posto è un “punctum” implacabile, un elemento che sembra capace di incatenare il mondo in un attimo diverso da quelli che lo hanno preceduto e seguito. Nonostante però la capacità antropofila della figura umana di catturare l’attenzione dell’osservatore, non basta una bella donna nell’apogeo dell’età piazzata sul terzo del fotogramma per fare una grande fotografia.
A meno che – ad esempio – attraverso di essa non si realizzi un’epitome dei momenti in cui la grazia si posa sull’essere umano, attraverso una scia di capelli che sembra appena uscita dal pennello di un preraffaellita e la ciocca sulla nuca richiamata in eco dalla posa della mano destra e dalla voluta della cinghia della borsa, una sorta di fugato grafico che mette in relazione la direzione dello sguardo con la piega dell’orlo della gonna dal lato opposto, mentre l’abito mosso dall’andatura le fascia l’anca dando alla figura corpo e leggerezza. Un movimento sospeso in un attimo che lo contiene a malapena, così come la foto non riesce ad abbracciare l’intera figura e ci lascia in debito di due caviglie che immaginiamo perfette e di due tacchi a spillo che già le stanno portando verso di noi.
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