Contesto, Forma Contenuto. Come ci ha spiegato Augusto Pieroni, sono questi gli ingredienti della lettura di una fotografia. La ricetta con cui i tre elementi si mescolano è il risultato dell’incontro delle attitudini della singola immagine con quelle del singolo lettore.
Il quale, se vuole conservare una uniformità di taglio può lavorare sulla selezione dei vari casi da analizzare. Ad esempio un libro che si occupi della “macchina della fotografia” (tanto per parafrasare un celebre lavoro di Omar Calabrese cui si fa spesso riferimento in questo sito) si baserebbe su una selezione di immagini la cui Forma le rende adatte ad una analisi semiotica; un lavoro sulla capacità documentaria della fotografia farebbe altrettanto lavorando sul versante del Contenuto e così via.
Non sembra che una preoccupazione del genere abbia guidato David Campany nella scelta delle 119 fotografie (ma sarebbe meglio dire delle immagini) che occupano la metà esatta delle pagine del suo lavoro (al netto della brevissima introduzione) e che hanno stimolato le riflessioni che riempiono le pagine dell’altra metà. Osservazioni di taglio molto vario e che in alcuni casi (ad esempio quello della foto di Mark Neville a pagina 234) trascurano completamente la fotografia per raccontare il Contesto storico in cui si è mosso il progetto di cui l’immagine fa parte.
In più, siccome “ogni immagine scattata è per forza una metafora della fotografia” (pag. 226), in una gran parte dei casi Campany parte dalla “fotografia” per parlare della “Fotografia”, dei suoi aspetti comunicazionali e sociologici, insistendo soprattutto sul polimorfismo e sull’ambiguità del mezzo e sulla sua permeabilità. Alla fine sembra che questo sia il messaggio principale del libro.
E che c’è di male? Niente, anche perché gli elzeviri di Campany sono ben scritti e pieni di considerazioni argute, da cui si possono sicuramente trarre spunti di riflessione profondi e nutrienti. L’unico appunto potrebbe allora essere per il titolo: più che “Sulle fotografie”, “Dalle fotografie” sarebbe stato più fedele allo spirito del lavoro.